lunedì 6 febbraio 2017

Anabasi


I soldati dell’Anabasi

Senofonte era uno dei Diecimila, un'armata di mercenari greci assoldata da Ciro il Giovane, il cui scopo era usurpare il trono di Persia al fratello Artaserse II.
  
Il percorso dei Diecimila dell'Anabasi di Senofonte.
Anche se l'armata dei mercenari fu vittoriosa nella battaglia sostenuta a Cunassa contro l'esercito dell'imperatore, Ciro non sopravvisse allo scontro, e la sua morte privò la spedizione di ogni senso: i Greci, penetrati troppo a fondo nel territorio nemico, dovettero così ritirarsi verso un porto sicuro, in un ripiegamento che si preannunciava lunghissimo e pieno di insidie.

Il testo narra infatti di come il generale greco Clearco e una quantità di suoi ufficiali furono uccisi o catturati per il tradimento ordito da Tissaferne, e di come lo stesso Senofonte, ritrovatosi generale, lui che non si riteneva nemmeno soldato, abbia concentrato i propri sforzi nell'incoraggiamento dei soldati, guidando l'armata sbandata nel lungo viaggio, durato più di un anno, verso il "Ponto Eusino" (attuale Mar Nero).
Giunto finalmente sulla costa del Mar Nero, presso Trapezunte (Trebisonda) con il famoso grido "Thálassa! Thálassa!" ("Θάλαττα! θάλαττα!") (il mare il mare) , vedrà però il fallimento dei suoi propositi di essere l'ecista di una nuova colonia ellenica e dopo numerose peripezie porterà l'armata a combattere per il re di Tracia Seute II, ed infine la consegnerà, a Pergamo, al generale spartano Tibrone che stava allestendo un esercito per una nuova guerra contro i persiani.

Scontro fra preti (e poeti)


Managua, 4 – 3 - 1996 Incontro papa Woytjla – Ernesto Cardenal.
Incontro? Dài, ragazzi, dài, siamo onesti: scontro è stato, al limite delle sberle (ricordate Anagni?).
Quasi incredibile nella sua durezza.  Alcuni giornali scrissero: “Attacco spietato del pontefice polacco alla teologia della liberazione”. E notarono: contesa fra un anticapitalismo rosso e una cristologia da secoli confiscata dai terratenientes. Battaglia fra due potenti che sono anche due poeti e due preti segnati dal sacerdozio.
Quel giorno, tuttavia, sotto il sole infuocato dell’inverno sandinista i loro volti non avevano niente di serafico, erano piuttosto due bandiere che si negavano l’un l’altra l’ombra misericordiosa della storia. L’”uomo di Roma” levava la sua voce tuonante non appena disceso dall’aereo tentando di imporre il silenzio a un gruppo di madri  di soldatini uccisi  dalle truppe del dittatore appena deposto. Le donne, scarmigliate, vestite di nero, le mani protese verso il palco delle autorità, quasi per graffiare l’augusto pellegrino (augusto si fa per dire) e imporgli una preghiera per i loro figli urlavano il loro lutto. “Basta!” ordinava Giovanni Paolo Secondo, timoroso di essere strumentalizzato. La paura della strumentalizzazione  è (non sempre nobilmente) la politica estera della Curia vaticana.
    

Lo scontro vangelo –prudenza è sempre stato al centro della mia narrativa. Nel “nuovo mondo” ho sempre trovato  qualcuno (eroe, vigliacco, artista, fantasma, donne molto carnali) che mi raccontava la sua storia (talvolta incredibile ma poi risultata autenticissima).La mia scrivania è andata così riempiendosi di maschere e di filosofi, tanto da traboccare di destini (mio e altrui). Ho pensatScontro frao così che potevamo “riscaldare” la nostra amicizia offrendovi in dono i primi capitoli di romanzi che ho  poi lasciati nel limbo del mio narcisismo. Spero gradiate questo  dono.

                         
***

Sedendosi per la prima volta alla scrivania del leader maximo, come la chiamavano ridendo i seminaristi, padre Maddalenino Tirelli, nuovo Provinciale italiano della congregazione dei Missionari del Calvario, vide sulla parete di fronte  una immensa fotografia del Santo Padre Giovanni Paolo Secondo e subito pensò: “Questa la faccio togliere”. Nessuno lo sapeva - tranne il suo confessore, naturalmente - ma padre Maddalenino detestava il papa. Non come istituzione, ché il nuovo Provinciale era fedelissimo a Santa Romana Chiesa: non gli piaceva come persona, Karol Woytjla. Il suo volto gli pareva segnato dall’arroganza e dal fanatismo. Il confessore da anni gli chiedeva di rimuovere quel peccato, peccato certo perché poi don Maddalenino non aveva prove della verità delle accuse che in cuor suo moveva al Santo Padre; e il peccatore aveva cercato con tutte le sue forze di cancellare la propria malevolenza, Poi, un giorno Giovanni Paolo II era andato in Nicaragua e su tutti i giornali del mondo era comparsa una fotografia che lo riprendeva con il volto sfigurato dall’ira e un dito minacciosamente levato sopra la candida chioma e la candida barba di Ernesto Cardenal, monaco, e ministro sandinista. Padre Maddalenino amava Cardenal per le sue poesie di fuoco e di vento tempestoso, i suoi versi che riprendevano la violenza di certi salmi biblici e la sue invettive che sembravano uscire dai libri dei profeti e proclamavano ai tiranni la collera di Dio; e per avervi lavorato a lungo conosceva l’America Latina e la miseria atroce di tanti popoli. Davanti al volto accigliato di Woytjla e a quello mitissimo di Cardenal, don Maddalenino aveva tirato un sospiro di sollievo: dunque non si era sbagliato, non aveva peccato di ingiustizia: “quello” non era un buon pastore, tanto meno un pontefice (facitore di ponti), quello era un Signore della guerra. Don Maddalenino si era abbandonato quasi con beatitudine alla sua detestazione; e benché non volesse scandalizzare il suo prossimo, si era lasciato andare, in refettorio, a qualche parola di critica, che gli aveva valso la stima dei più giovani frati della comunità.
Alla fine il confessore, dopo avere tentato invano di estorcergli un po’ di pentimento, gli aveva ordinato di sottoporsi a un corso di esercizi spirituali: otto giorni di clausura e di meditazione, tempo propizio a una conversione. Don Maddalenino aveva mitemente obbedito; e nella casa gesuitica in cui aveva cercato di fare luce in se stesso, nonostante l’odore di minestre abominevoli che giungeva persino nella cappella, alla fine di un lungo travaglio aveva compreso la verità: neppure l’episodio di Managua giustificava i suoi sentimenti, l’antipatia che egli portava al papa dipendeva dal fatto che papa Woytjla era polacco. Don Maddalenino non era un razzista. Il fatto era che a lui un polacco aveva ammazzato il padre.

Maddalenino aveva quattro anni e la cosa che ricorda più vivamente è l’odore del sapone di Marsiglia con la quale la madre, quel giorno, stava lavando i panni, china sulla tinozza di legno. La mamma cantava con un filo di voce e lui giocava con un meraviglioso carrettino: una scatoletta di legno alla quale il padre aveva applicato quattro rotelline. Erano arrivati due uomini concitati, la madre li aveva ascoltati asciugandosi le mani nel grembiule, poi aveva levato da terra Maddalenino, se lo era  stretto al petto tanto da soffocarlo ed era corsa fuori; sulla strada la nonna l’aveva fermata, le aveva strappato Maddalenino dalle braccia, “Lascialo a me”, e sua madre aveva ripreso la sua corsa, urlando parole che Maddalenino non comprendeva.
Di “dopo” ricorda un funerale con tante bandiere rosse, uomini con facce dure che si chinano a fargli una carezza. Il funerale non è entrato in chiesa perché il padre di Maddalenino era ateo, ateo e comunista; e suo figlio è stato segnato all’anagrafe come Maddalenino perché c’era il fascismo e chiamarlo Lenin come lui avrebbe voluto non si poteva. Al cimitero c’è tanta gente e molti sono partigiani. Quando la cassa in cui c’è dentro suo padre viene infilata in una specie di muro, gli armati sparano in aria una raffica di mitra. Maddalenino pensa: sparano agli uccelli; ma nessun uccello  cade dal cielo.
Poi sono passati anni, Maddalenino è sempre stato il primo della classe, la sua maestra lo amava e lui lo sapeva; e sapeva anche che la maestra era triste perché lui non seguiva le lezioni di religione e non andava in chiesa, perché la madre non voleva. Un giorno, all’improvviso (piove da settimane, in casa c’è freddo, mentre fa i compiti Maddalenino ogni tanto deve soffiarsi sulle dita gelate) la madre improvvisamente gli chiede: “Ma tu lo sai come è morto tuo padre?”. Maddalenino ha nove anni, guarda di sbieco la madre, che ha la testa china su un rammendo; scuote il capo e sente che nel cuore gli si gonfia una grande paura: “E’ stato un polacco - dice la madre, - uno di quelli che odiano il comunismo e che quell’anno sono venuti su lungo la costa, insieme con gli Alleati. Tuo padre era un partigiano e aveva il fazzoletto rosso al collo; una sera, dopo che i tedeschi erano scappati, ha incontrato un gruppo di quei soldati, ubriachi, e uno di loro gli ha ordinato di togliersi il fazzoletto. “Vieni a prenderlo” gli ha detto tuo padre, e quando quello gli si è avvicinato lo ha steso con un pugno”. Prima di riempirsi di lacrime, gli occhi della donna hanno un lampo d’orgoglio: così era, il suo uomo! “E allora l’altro gli è saltato addosso con un coltello; e due suoi amici tenevano tuo padre e quel maledetto lo ha ucciso. Dopo, i garibaldini sono andati alla ricerca dell’assassino ma non l’hanno trovato; tutta la notte ci sono state zuffe e sparatorie fra partigiani e polacchi ma di morti c’è stato solo il mio Menichino. E gli alleati hanno portato via i polacchi e non c’è stata giustizia”. Maddalenino ha ascoltato in silenzio.Come se non avesse capito, soffia sulle dita intirizzite e riprende a svolgere il problema per l’indomani..
Perdonatemi, Santo Padre, voi non ne avete colpa. Ma quella fotografia la sostituirò con una icona della Resurrezione.


                                                          

sabato 21 gennaio 2017

Viet Nam

Le Alte Terre azzurre e blu, lontane
all’orizzonte e qui torna
la luminosa lastra delle risaie.
Sulla groppa del bufalo il bambino
assonnato padrone scalcia senza pensare.
Si incanta
l’airone pellegrino sulle prode.
(La guerra lontanissima appare
ma non ai vecchi in perenne ascolto).
Possa il futuro sorridere
come un canto della mia donna.

sabato 14 gennaio 2017

Numeri, bloggers & Narrazioni

Se ne rendano conto, lor signori,
in questo momento hanno il privilegio di stringere nelle loro mani un ossimoro. Non  temano: anche in me, sino a pochi anni fa, la parola ossimoro suscitava preoccupazione, sembrandomi alludere, per qualche misteriosa ragione, a un animaletto peloso, con dentini aguzzi e occhietti maligni. Adesso l’ho imparato: dicesi ossimoro, dal greco oxùs (acuto) e moròs (sciocco), una figura retorica che consiste di due termini in forte antitesi tra loro, quasi incompatibili . Esempio:’"brivido caldo, disgustoso piacere, eloquente silenzio".
Vi prego della cortesia di un applauso: il geniale passatempo (ossimoro?) che in questo momento vi presento con il calore di una amicizia  che a me sembra già  fondata, i nostri 21 lettori di manzoniana memoria, noi , voi stessi e  chissà chi altri, quando giungeremo al fondo di questa pagina  vareremo   sull’infinito  oceano informatico  un' allegra orchestrina di ottoni, che suonerà interminabilmente Oh, Yellow Submarine (so bene che non è il più bel lascito dei cinque reucci della canzone, ma a me piace così).

sabato 31 dicembre 2016

Il Bufalo e il bambino





Il Bufalo e il bambino ci pone di fronte a una sapiente articolazione scandita in cinque sezioni tematiche, a una dinamica molteplicità di ambientazioni crono-geografiche, a una iridescente varietà di linguaggi, intonazioni, moduli stilistici. Di fronte, in sintesi, a una giovinezza intellettuale e spirituale felicemente in conflitto con l’avanzata età biologica.
La nuova silloge di Masina, scrittore poliedrico e in particolare poeta di lirica morbidezza e insieme di dura tempra profetica, culmina con una sorta di “corteggiamento della morte” preceduto, e paradossalmente giustificato, da un bellissimo inno alla vita nascente, al miracolo della maternità, al mistero del compenetrarsi di corpo e anima nell’embrione: E l’anima sbocciò. 
Il paradosso, in realtà solo apparente, consiste nel fatto che a disinnescare la tragicità angosciosa con cui la nostra umana fragilità guarda al passo estremo è proprio il senso di ininterrotta, infinita continuità della vita nell’avvicendarsi delle generazioni: senso, o piuttosto sentimento, che ogni nuova nascita ridesta nel nostro cuore adulto, alimentando la speranza del credente in una sopravvivenza senza fine oltre la finitudine terrena.


                                                                               (dalla Prefazione di Marco Beck)

Prezzo € 10

Giuliano Ladolfi Editore
Corso Roma, 168 – 28021 Borgomanero NO
www. Ladolfieditore.it




“Il bufalo e il bambino”

È, per così dire, la traduzione in prosa di un mio libro di poesie  stampato l’anno scorso e avente per contenuto una serie di esperienze vissute in varie parti del mondo. In quei luoghi sono stato spesso colpito dalla prontezza con la quale la pace ritornava ad essere dopo ogni guerra un rifiuto della cattiveria umana e un  tentativo di  riordino di un assetto mondiale che custodisca  (o instauri) gli ideali della fratellanza. 
Questa constatazione è particolarmente commovente nei territori segnati dalle crudeltà delle guerre in cui la tecnologia miliardaria sembra avere distrutto ogni capacità di controllo di uno degli istinti peggiori dell’uomo. “Pietà l’è morta”, diceva una canzone venuta “di moda” fra i combattenti delle due parti della guerra 1939-1945 e seguenti e ai  contemporanei sembrò una cifra di paura che non si sarebbe più potuta cancellare. E invece non era così: in quella relazione si faceva notare che nella “terra di nessuno” fra le due Coree, negli ultimi anni si erano ricostituite la fauna e la flora dell’epoca precedente allo smembramento delle due nazioni: mi sembra un segno consolante che si potrebbe riassumere nella citazione di un poeta norvegese di cui, purtroppo, ho smarrito il nome. Egli,  cantava così la sua gioia: “Rido perché la natura e non solo i teologi o gli ingegneri  possono collaborare con noi, anzi esserci maestri. Rido perché la natura è costretta assai spesso a rimediare ai nostri infantilismi..”.

L’esperienza che ho fatto in quei paesi mi ha confermato in quell’ottimismo che si fa evidente nonostante sembri piuttosto regnare un parricidio omicida proprio là dove pochi anni prima la vita dei più poveri fu devastata dal ferro e dal fuoco. 
Penso in particolare, in questo momento, alla tragedia del Viet nam che mobilitò tanti democratici alla solidarietà contro il colonialismo. 
Una mattina io e Clotilde scendevamo la strada che porta dal Passo della Nuvole verso l’incanto dell’oceano di Da Nang e il quasi misterioso affollarsi, vicino alle rive di pescatori in certe loro barche rotonde mai viste altrove. A una curva, improvvisamente, ci aggredì una lieta brigata di bambini mentre si stringevano intorno a noi in imprevisto girotondo  in una zona in cui le truppe del Viet Nam del sud e degli americani dovettero pagare una pesantissima sconfitta, i bambini ci spiegarono che erano gli alunni di una scuola di un villaggio vicino e venivano a contemplare i resti di un enorme elicottero abbattuto chissà quando dai vietcong. I resti di quel mostro tecnologico giacevano da tempo accanto a quel villaggio ma in quel momento ci fu chiaro che l’interesse dei bambini appariva molto più concentrato su noi, turisti in scarpe da tennis, piuttosto che su quella specie di monumento che richiamava tanto terrore. Quando poi la barricata dei piccoli si concentrò su una merenda alla quale venivamo invitati ance noi allora i ragazzi ci donarono una serie di canzoni in molte diverse lingue. Una ci parve essere italiana. Ce lo confermarono quella sera a Huê dove funzionava una casa dello studente: si, la canzone era italiana, opera di Gianni Rodari, il grande maestro di Piccole Paci.
Quella sera, quelle canzoni che non conoscevano confine ci parve veramente una bandiera della pace che sventolava per noi.
Ettore Masina